Giovani e violenza contro Animali
Aumentano gli episodi di violenza da parte di ragazzi molto giovani, spesso adolescenti. Violenza contro altri essere umani, contro ragazzine, contro disabili e anche contro animali, come nel caso di Anagni, con giovani di “famiglie bene” che hanno preso a calci una capretta fino ad ucciderla a solo scopo di “divertimento”, per vedere l’effetto che fa.
E sono le notizie di cui veniamo a conoscenza. Chissà quante ce ne sono che rimangono sommerse nel silenzio, nella vergogna, nell’omertà e la paura.
Senza voler entrare in questo caso in episodi brutali, drammatici e senza alcuna giustificazione di cui le cronache hanno parlato nelle ultime settimane contro le donne e le ragazze, ci limitiamo a valutare vicende come questa, che ne seguono altre come il taglio di coda e criniera del pony per la pet therapy avvenuto a Castagneto Carducci (GR) o i tanti, troppi, crescenti casi di abbandono di animali domestici talvolta abbinati a violenza, maltrattamento trascuratezza.
Non vanno sottovalutati. Gli assistenti sociali e i servizi di neuropsichiatria hanno necessità di intercettare questi adolescenti che si sono resi protagonisti di violenza sugli animali. In altri Paesi, come negli Stati Uniti per esempio, chi commette atti del genere viene segnalato come persona potenzialmente pericolosa, comunque attenzionata a rischio di violenza anche di genere. In Italia ancora non avviene, seppur presa in considerazione.
Che sta succedendo a questi giovani? Perché nell’età che dovrebbe essere bella e spensierata, magari in famiglie agiate a cui non manca niente, si commettono crimini e violenze gratuite?
La violenza esteriore può essere un modo per manifestare una debolezza interiore.
C’è talmente tanta rabbia, senso di impotenza, frustrazione in sé, che si scatena contro i più deboli, contro coloro che non possono reagire e in tal senso ci fanno sentire superiori, forti. Quella forza che dentro di sé non c’è.
Tanti episodi di bullismo e di violenza sugli animali che ho visto come psicologa che si occupa di famiglie, nascono proprio dentro le mura domestiche.
Nelle famiglie ci si frequenta molto, ma ci si conosce poco. E non è solo un effetto dell’uso dei mezzi tecnologici: l’uso sfrenato dei telefonini e dei social, il chiudersi dietro ai videogiochi è anch’esso un effetto di un tempo “insieme” che a livello di qualità è sufficiente, ma di quantità no.
Manca un campo emozionale dentro le famiglie, manca una condivisione di sentimenti oltre quella degli spazi. Le vacanze vissute in maniera bulimica, nel fare fare fare senza fermarsi perché “siamo in ferie, godiamocele”, si trasforma poi in un rientro alla quotidianità fatta di silenzi e vuoto.
Siamo degli sconosciuti all’interno delle nostre stesse famiglie.
In questo l’animale può far tanto: diventa un invito alle tenerezze condivise e alla sensibilità. Crea in maniera spontanea una “relazione gentile”, apre una breccia di dialogo non verbale con la persona e tra persone grazie alla sua presenza non giudicante o invadente.
Ma proprio in quanto tale, in quanto “stimolatore di gentilezza e di dialogo”, può diventare oggetto di disprezzo. Può “far paura” per le emozioni che stimola e che non si sanno gestire pubblicamente.
Quelli che leggiamo sui giornali sono casi limite, ragazzini con tale aggressività e rabbia da trasformarsi in violenza gratuita, folle, abbietta. Ma ci sono anche casi che non emergono, di piccoli grandi atti quotidiani.
Come entrare nel loro mondo? Come aiutarli? Bisogna partire dalla sofferenza del soggetto e del sistema familiare, costruendo interventi anche a carattere domiciliare, proprio per agganciare la relazione e per permettere interventi anche di tipo psicoeducazionale. La solitudine e il silenzio spesso diventano strumento contro il senso di vergogna e inadeguatezza. Un rifugio da cui uscire attraverso un legame terapeutico, magari proprio in presenza di un animale, dando la possibilità di costruire un’alleanza graduale, ma costante. La cura, l’accudimento, possono essere mezzi per ricucire un rapporto con il mondo.
L’equipe deve riuscire a coinvolgere tutto il mondo attorno al giovane. Importante è l’alleanza con il nucleo familiare, a partire dai genitori che vanno ascoltati attentamente e aiutati a ripercorrere la storia di questi ragazzi, sottolineando la differenza tra periodo critico e di crescita e invece una vera e propria patologia, con caratteristiche psico-comportamentali ben chiare.
Non è facile né si risolve in poco tempo. Ma qualcosa si può fare, anche in maniera preventiva. Bisogna riconoscerlo, ammetterlo, affrontarlo. E forse proprio questa fase iniziale è la più complessa da accettare e da vivere.